venerdì 13 aprile 2012

LO SPECCHIO DELLE ANIME SEMPLICI




“Lo specchio delle anime semplici” è strutturato come un dialogo tra tre personaggi allegorici: Amore, Anima e Ragione; tutti e tre sono personaggi femminili (l’Amore viene nominata “dama”). La Ragione incarna il regime della mediazione (sia come concatenamento razionale, sia come ragione discorsiva, contrapposta all’intelletto intuitivo); l’Anima è l’espressione dell’autrice stessa; l’Amore rappresenta l’amore per Dio. Durante tutto il testo vi è l’incertezza su chi ne sia l’autrice: se la “dama d’Amore” o l’Anima, quindi se scienza umana o divina, solo alla fine dell’opera si comprenderà che l’autrice è l’Anima. Nella sua opera la Porete distingue due Chiese: la grande composta dalle anime semplici, annientate in Dio, e la piccola, formata dalle gerarchie ecclesiastiche. Ponendosi non contro, ma sopra quest’ultima, la Porete non chiede che anime perfette prendano il posto della Chiesa gerarchica, ma che quest’ultima si apra nella forma del riconoscimento e dell’accettazione , al più che proviene dalle anime che hanno con Dio un rapporto assolutamente libero. Facendo questo, la Porete, trova una posizione di signoria femminile, ed afferma una superiorità non gerarchica, ma spirituale di essa. Tale superiorità risiede nella coincidenza tra ciò che sono e ciò che fanno le anime annientate in Dio.


Due racconti circoscrivono il percorso di Anima nel suo itinerario di congiunzione con Dio: - il primo racconto è posto all’inizio del libro e riguarda proprio il suo significato: esso narra di una fanciulla figlia di un re, che, dopo aver sentito parlare della grande cortesia del re Alessandro, se ne innamora. La fanciulla sentendo una grande vicinanza interiore con l’uomo, per sedare il dolore provato per la loro lontananza fisica, ne fa fare il ritratto. Analogamente l’Anima fa scrivere questo libro alla Porete, per rendere vicino Colui che è così lontano e così vicino allo stesso tempo, ovvero Dio. (il libro è dunque visto come un’immagine in grado di creare una circolarità e un reciproco scambio tra vicino e lontano). - il secondo è un racconto autobiografico che descrive i ripetuti fallimenti di una mendicante nel tentativo di giungere a Dio attraverso una mediazione, e dunque,rappresenta il fallimento del libro come mediazione: “c’era una volta una mendicante che per lungo tempo cercò Dio nella creatura…. Ma non trovò niente e si ritrovò ancora più affamata di quello che andava cercando”. Questo testo parla della necessità di cercare Dio nelle creature, ma anche il fallimento di ogni tentativo in questa direzione, cosicché il libro è l’unica risposta alla possibilità di trovare Dio “nell’intimo nucleo intellettuale del proprio più alto pensare”. La semplicità dell’anima annientata, non divisa in se stessa ma ricongiunta con Dio, si consegna così alla fine, registrato il fallimento del libro stesso come mediazione, al silenzio: ma, in mezzo, c’è l’opera scritturale di Margherita Porete, che destina alla grandezza di una filosofia mistica di prim’ordine una voce femminile.



L’amore professato dalla Porete tende a rendere relativo ogni contenuto determinato, riportando le volizioni all’assenza del desiderio, e quindi all’Assoluto vero e proprio. Arrivare all’Assoluto, per lei, significa scartare il “meno” e proseguire verso l’Intero (l’Intero è al di sopra e trascendente rispetto alle determinazioni). L’anima semplice poretiana deve smettere di amare-per, per diventare essa stessa Amore. La volontà tende a volere ogni cosa, ma per anelare all’Intero deve non desiderare più nulla; così distaccandosi da tutto, diventa in realtà essa stessa il Tutto. Dialetticamente, l’amore infinito può realizzarsi solamente nel rifiuto del possesso vacuo degli enti: si tratta sia di sacre reliquie, che di virtù morali. Distaccandosi dall’amore preso in considerazione, l’anima diventa l’Amore stesso. L’Anima a questo punto non ama più per, ma si è trasformata nell’Amore stesso che vuole il tutto, non seguendo più niente. La sovrabbondanza d’Amore conduce l’Anima al superamento dell’Amore stesso. In quest’ottica, per Margherita la Scrittura è materiale per i servi. Chi è riuscito a dialettizzare l’amore “senza perché” nel non-amore- ossia a realizzare l’Amore assoluto, l’identità con l’Uno non ha più bisogno né di pregare, né di cercare. Chi cerca ricade nella distinzione tra soggetto ed oggetto; chi prega persegue un fine (“è bene per voi che io vada”). Per la Porete è preferibile coltivare l’amicizia, anziché l’amore, perché l’amicizia è l’amore senza desiderio ed è, secondo lei, la forma più alta di amore. Con lo Spirito divino si deve quindi instaurare un rapporto di pura amicizia, presupposto indispensabile al reciproco scambio, in modo che l’anima riconosca se stessa come Dio e Dio sia presente in tutte le forme del mondo manifestato.
fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Margherita_Porete



Bisogna passare attraverso tutte le Virtù prima di poterle superare.
L'Anima, quando si trova nello stadio di "cieca vita annientata", fatta di distacco, morte dello spirito, aspira ad una capacità di comprensione alla quale non possono arrivare né Ragione, né Filosofia e neppure la Teologia. Vi si arriva in un istante o moment d'heure, grazie al balenìo del Lontano-Vicino, uno degli stadi più alti di perfezione, quello di "vita annientata illuminata". Perciò non si può speculare sull'Essere, lo si sperimenta in un patire: il meno dell'Anima lascia spazio al più di Dio, cioè alla trascendenza dell'essere increato. A questo punto il pensiero non ha più nessun potere sull'Anima, il suo pellegrinaggio si è compiuto, così il suo potere le viene reso, dal momento che non ne farà più un uso egoistico. L'Anima è arrivata nel punto più alto, l'Anima si allieta di non poter mai affermare tutta la ricchezza del suo amante. E' questo il tema della beata ignoranza, uno dei grandi temi della mistica fiammingo-renana.


Margherita elenca nove punti cardine che caratterizzano l’anima annientata nell’amore amore divino:
- l’anima annientata non la si può trovare. Essa è così tormentata dai suoi peccati, così oppressa dai suoi difetti, che si considera meno di niente, e si annichilisce nell’umiltà;
- ella si salva per fede senza opere; infatti è così presa dalla conoscenza che la fede le conferisce sul divino, che qualsiasi affare mondano passa dalla sua memoria senza lasciare traccia, e pertanto ella non sa più agire, perché non ha più alcun interesse nell’azione;
- ella è sola in amore, perché non trova conforto, né affetto, né speranza, in alcuna creatura, fuorché in Dio;
- non fa niente per Dio, perché ne è talmente presa, che come Dio, nella sua infinitezza, non si cura della sua opera miserabile, così a lei stessa non importa di quel che fa;
- non tralascia per Dio di fare alcuna cosa di quello che può fare: poiché non può far niente che non sia il volere di Dio, e non lascia entrare nei propri pensieri niente che sia contro Dio;
- non le si può insegnare niente: se anche le si potesse dare tutta la sapienza di questo mondo, sarebbe sempre niente al cospetto della conoscenza di Dio;
- non le si può togliere niente: perché se anche la si può privare di onori, ricchezze, amori umani, essi sono niente, se Dio le rimane;
- non le si può dare niente: se anche le si desse tutto quello che mai fu dato e che mai si darà, esso sarebbe sempre niente al cospetto di Dio;
- non ha più volontà; tutto quanto ella vuole acconsentendolo, è quello che Dio vuole che ella voglia, e lei lo vuole per compiere la volontà di Dio, non la propria, e non può volerlo da sé, ma è il volere di Dio che in lei lo vuole; e in ciò ella trae tutto il suo appagamento.
Questi punti non potevano non suscitare le ire del tribunale ecclesiastico. Professano infatti una religione non delle opere, ma dell’interiorità, la cui unica guida è l’ispirazione interiore, che come tale travalica ogni dottrina, ogni precetto, ogni autorità. Come si può riconoscere un dogma imposto dall’esterno quando chi parla dentro l’uomo annientato è la volontà di Dio?  Margherita intende col suo pensiero essere il punto di riferimento per la comunità di beghinaggio in cui si riconosce, e affrancare le compagne da onerose e oppressive autorità esterne perché esse rispondano solo alla voce della loro coscienza, attraverso cui parla –  più che non attraverso il dogma e il rituale –  l’ineffabile, inafferrabile, incomprensibile, eppure paradossalmente intimo e partecipe Lontanovicino. In questa sua tensione ideale, da un lato precorre temi che saranno ripresi dalla Riforma protestante. Le opere, le virtù, i sacramenti conducono l’anima fino ad un certo punto, ma se essa vuole conseguire l’illuminazione e l’unione col divino deve patire Dio, lasciarlo agire dentro di sé, annullandosi al suo cospetto. Con ciò però si svilisce il valore dell’insegnamento della Chiesa, del dogma, della gerarchia, perché la sola guida che l’anima riconosce è Dio, e l’unione in Dio è opera immediata della grazia divina, senza intermediari. Dall’altro lato oggi possiamo dire che la dottrina di  Margherita mostra punti di contatto con la spiritualità orientale, con la Bhagavad Gita quando parla di fede senza opere, o  con l’insegnamento di Buddha, quando dice di non attaccarsi neppure alle virtù. Il che dimostra che quando si scende a livelli della mente che vanno oltre il contingente, si raggiunge quello strato che Jung chiamerebbe archetipico, e che rappresenta un patrimonio universale dell’umanità. In altre parole: il mistico va oltre il livello del buon adattamento alla realtà e del buon equilibrio psicologico. Raggiunto un buon equilibrio, egli lo squilibra consapevolmente, per procedere al di là. Dove? Nella dimensione dell’abbandono, dello spossessamento, dell’unione, ma anche del rischio e del limite rispetto alle faccende umane. E infatti Margherita dichiara che la sua opera è per gli “smarriti”, coloro che sono arrivati fino allo stadio della contemplazione del divino, ma mancano dello slancio verso il livello ultimo, quello del riassorbimento.
Condannata dall’inquisizione, va incontro fermamente al supplizio: e come può essere altrimenti, se vuole mantenere fede a quello che ha scritto? Può una donna che dice
“L’Anima Annientata non ha affatto volontà, né potrebbe averne, né può volerne avere, e in ciò la divina volontà si compie perfettamente; né l’Anima si appaga a sufficienza di divino Am
ore, né Amore divino si appaga a sufficienza dell’Anima, finché l’Anima non è in Dio e Dio nell’Anima, da lui e per lui in tale essere divino assisa” (ibid., p.49)

ritrattare queste sue parole di fronte a dei giudici umani che anzi le offrono col martirio la possibilità, a fronte di una atroce ma pur sempre breve pena, di affrettare il totale ricongiungimento col divino cui ella aspira? D’altronde più oltre lei dice:
“Quest’Anima non si spaventa per la tribolazione, non si ferma per la consolazione, né si dissolve per la tentazione, né diminuisce per alcuna sottrazione” (p.65).
Ma così si compie anche il destino dei persecutori, che con le loro ingiustizie e nefandezze danno forza, fiato e credibilità alle idee che intendono distruggere –  come del resto dimostra la vasta diffusione dello Specchio  dopo la morte di Margherita –  tanto che se prima di condannare al martirio riflettessero su quanto il martirio stesso agisce da conferma e consacrazione creerebbero meno martiri.




Nel quattrocento, monaci di tutt'Europa si passavano l'un l'altro un manoscritto da leggere in
 segreto. Esso custodiva la chiave mistica dei nove stati in cui porre l'anima per raggiungere 
Dio. La giovane autrice, una donna del Nord della Francia, lo aveva divulgato a prezzo della 
vita. Nel 1310 il grande inquisitore di Francia aveva acceso la pira dell'auto da fé e 
Margherita, questo il suo nome, era morta sul rogo come eretica pertinace.
Il "Miroir des simples âmes" di Margherita Porete, che avrebbe dovuto rimanere sepolto 

per sempre in quelle ceneri, divenne invece la "Bibbia" di quegli infervorati di fede che 
col nome di "Fratelli del Libero Spirito", costruirono comunità ribelli in luoghi reconditi 
dell'intero continente... Un testo di misticismo legato al movimento del Libero Spirito le cui
 propaggini si spingono fino a Cecco d’Ascoli e forse, ai riti dell’antro della Sibilla, 
sulle sponde del lago di Pilato. Riproduzione anastatica del manoscritto Riccardiano 
in volgare, con a fianco una riduzione in linguaggio moderno, che cerca di mantenere 
tuttavia gli stilemi originari. Nell'introduzione: Taboriti, Begardi, Dolciniani, Bollandisti, 
Turlupini, Amalriciani, Segarelli... E poi ancora gli Spirituali, i Clareni, i Fraticelli di 
Opinione di Cecco d'Ascoli, gli Alumbrados, i Quietisti di Madame Guyon, 




«A Parigi, cuore della cultura medievale, poco dopo 
il rogo di 54 Templari al Mulino Saint-Antoine, 
il primo giugno 1310 Margherita Porete 
veniva arsa insieme al suo libro, 
Lo specchio delle anime semplici, uno dei vertici del 
pensiero religioso speculativo,sorta di manifesto 
della nobiltà dell’anima...















Qui comincia lo specchio delle anime semplici.  
L’Anima che sale

i Sette Gradi della divina grazia
può giungere alla perfezione
già durante la vita terrena.
Voi che udirete
come l’Anima possa fare questo,
per bene intendere, dovrete essere ciò che udirete:
L’Amore divino è come una donzella
che, innamorata d’un principe
per la sua eccelsa fama,
non poteva né vederlo né sentirlo,
e ne fece l’immagine con gli occhi della mente.
Allo stesso modo io Anima vi dico:
udii parlare d'un re
che per potenza può essere detto Alessandro;
era così lontano da me
che non potevo trovare consolazione.
Per confortarmi
egli mi donò il libro che narra
del suo modo d'amare
e della pace
in cui vivono coloro che gli sono vicini,
resi da lui principi puri e liberi.





fonte 
http://www.mammaeditori.it/pages/Spirito.htm





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