L'illuminazione di Osho


Dal libro "Una vertigine chiamata vita" - da pag. 76:
"Per quanto possa ricordare, ho sempre cercato la soglia dell'illuminazione, sin dall'infanzia. Devo aver ereditato questa idea dalla vita precedente, perché non ricordo un solo giorno, nell'infanzia di questa vita, in cui non l'abbia cercata. Naturalmente tutti pensavano che fossi matto. Non giocavo mai con nessun bambino; non ha mai trovato alcun modo di comunicare con i bambini della mia età: mi sembravano stupidi, occupati in ogni tipo di idiozia. Non ho mai fatto parte di una squadra di calcio, di pallavolo o di hockey, naturalmente, tutti pensavano che fossi matto. E, per quanto mi riguardava, man mano che cresciamo, cominciava considerare matto il mondo intero.
L'ultimo anno, avevo 21 anni, fu un periodo di crisi nervosa e di trasformazione. Naturalmente, coloro che mi amavano-la famiglia, gli amici, i professori-potevano capire ben poco di ciò che stava accadendo in me: perché ero tanto diverso dagli altri bambini, perché stavo seduto per ore e occhi chiusi, perché stavo seduto sulla riva del fiume a guardare il cielo per ore, a volte per tutta la notte!... Naturalmente, coloro che non potevano capire cosa del genere, né io mi aspettavo che le capissero, mi presero per matto. A casa ero diventato praticamente assente. A poco a poco smisero di chiedermi alcunché e, piano piano, cominciarono ad avere la sensazione che non ci fossi. Amavo il modo in cui ero diventato un nulla, un nessuno, un'assenza. Quell'anno fu terribile. Ero circondato dal nulla, dal vuoto. Avevo perso tutti i contatti con il mondo. Se qualcuno mi ricordava di fare un bagno, lo facevo per ore. Poi dovevano bussare alla porta e dirmi: "Adesso esci dal bagno. Ti sei lavato quanto basta per un mese! Esci". Se mi ricordavano di mangiare, mangiavo; altrimenti passavo giorni senza toccare cibo. Non che stessi digiunando; non pensavo minimamente a mangiare o a digiunare. La mia unica preoccupazione era di andare sempre più in profondità dentro me stesso. E la soglia era tanto magnetica, l'attrazione così forte simile a ciò che i fisici chiamano un buco nero. (...)
Da pag. 84:
"Mi ricordo quel giorno fatidico... Ho cercato per molte vite, ho lavorato su di me, ho lottato, ho fatto tutto quanto era possibile e non è mai successo nulla. Ora capisco perché non accadeva nulla: lo sforzo era l'ostacolo, la sete di ricerca era l'ostacolo. È vero che non ci si può realizzare senza cercare, la ricerca è necessaria; ma arriva un momento in cui la ricerca deve essere lasciata cadere. La barca necessarie per attraversare il fiume, ma poi arriva un momento in cui devi scenderne, dimenticartene, lasciarti alle spalle quella barca. Lo sforzo è necessario: senza sforzo nulla è possibile, e allo stesso tempo, con uno sforzo non s'ottiene nulla. Esattamente sette giorni prima del 21 marzo 1953, smisi di lavorare su di me: arriva un momento in cui si vede la totale inutilità dello sforzo. Hai fatto tutto quello che potevi fare, e non è successo nulla. Hai fatto quanto è umanamente possibile, che cos'altro potresti fare? La speranza viene meno e si abbandona ogni ricerca: il giorno in cui misi di cercare, il giorno in cui non aspettai più l'accadere di qualcosa, qualcosa iniziò ad accadere. (...) il giorno in cui smisi di sforzarmi, anch'io mi fermai: infatti, non si può esistere senza sforzo, né si può esistere senza desiderio o senza lotta. Il fenomeno del'ego, del sé, non è un oggetto, bensì un processo. Non è la sostanza che si trova dentro di te: la devi generare in ogni istante. E' simile all'azione del pedalare: se pedali, la bicicletta continua ad andare; se non lo fai, si ferma. Potrebbe proseguire per un po', a causa della forza d'inerzia, ma quando smetti di pedalare, di fatto la bicicletta inizia a fermarsi: non ha più energia, non ha più la forza di andare oltre. È inevitabile che si fermi e cada a terra. L'ego esiste perché noi continuiamo a pedalare sul desiderio, perché continuiamo a lottare per ottenere qualcosa, perché continuiamo a proiettarci in avanti. Il fenomeno del'ego è proprio questo: proiettarsi in avanti, nel futuro, oppure nel passato. Proiettarsi in ciò che non esiste, crea l'ego. E poiché questo fenomeno scaturisce da qualcosa che non è esistenziale, è simile a un miraggio. E' formato unicamente da desideri; è soltanto una sete e null'altro. L'ego non è nel presente, e nel futuro. Se vivi nel futuro, l'ego sembra estremamente concreto. Se sei nel presente, l'ego è un miraggio... Inizia scomparire.(...) Ero in uno stato catatonico: verso le otto andai a dormire. (..) Fu un sonno stranissimo, il corpo era addormentato, io ero sveglio. verso mezzanotte gli occhi si aprirono all'improvviso. Non li aprii io, il sonno fu rotto da qualcos'altro. Intorno a me, nella stanza, sentii una presenza imponente. La stanza era piccolissima. Sentii tutt'intorno a me una pulsazione di vita, una vibrazione assordante, simile all'uragano: una tempesta incredibile di luce, gioia ed estasi. Ero sommerso: era tanto reale che ogni altra cosa divenne irreale. I muri della stanza divennero irreali, la casa divenne irreale, il mio stesso corpo divenne irreale. Ogni cosa era irreale perché ora, per la prima volta, la realtà era presente. (...) quella notte un'altra realtà aprì la sua porta, un'altra dimensione divenne disponibile. All'improvviso era presente, quella realtà "altra", una realtà separata: la realtà vera, o in qualsiasi modo tu voglia chiamarla. Chiamala Dio, verità, Dhamma, Tao, o come meglio preferisci. Era senza nome. Ma era presente,così opaca, così trasparente, e tuttavia tanto evidente che chiunque avrebbe potuto toccarla. Nella stanza mi stava soffocando: era troppo intensa e io ero incapace di assorbirla. Sorse in me il bisogno spasmodico di precipitarmi fuori da quella stanza, uscire sotto il cielo. Se fossi rimastopochi minuti ancora, sarei soffocato. Così mi sembrava. Corsi fuori, uscii all'aperto. Sentivo la necessità di essere semplicemente sotto il cielo, con le stelle, con gli alberi, con la terra, essere con la natura. (...) mi incamminai verso il giardino più vicino. Era una camminata totalmente diversa, come se la forza di gravità fosse scomparsa. Camminavo, o correvo, o semplicemente volavo; Era difficile decidere. La gravità era assente. Mi sentivo senza peso, come se una forza mi trasportasse: ero nelle mani di un'altra energia. Per la prima volta non ero solo, per la prima volta non ero più in individuo, per la prima volta la goccia era caduta nell'oceano; ora l'intero oceano era mio, io ero l'oceano. Non c'erano più limiti. Un potere tremendo sorse dentro di me, come se avessi potuto fare qualsiasi cosa, in qualunque situazione... Io non ero presente, esisteva solo quel potere. (...) ero rilassato, mi lasciavo andare. Non ero presente. Lui era lì-chiamatelo Dio-Dio era presente. Preferirei chiamarlo Lui, perché Dio è una parola troppo umana, ed è stata logorata dall'abuso, troppe persone l'hanno inquinata: cristiani, indù, musulmani, preti e politici, tutti hanno fatto di tutto per corrompere la bellezza di questa parola, perciò lasciate che lo chiami Lui. Lui era presente, e io ero semplicemente trasportato.. trasportato da un'onda. Quando entrai nel parco, ogni cosa divenne luminosa. Ovunque era benedizione, beatitudine. Per la prima volta potei vedere gli alberi.. il loro verde, la loro vita, la loro linfa scorrere. (...) Quando tornai a casa, erano le quattro del mattino, per cui, secondo l'orologio, era rimasto là perlomeno tre ore; ma fu un'infinità. Non aveva nulla a che vedere con l'orologio, era senza tempo. Quelle tre ore divennero un'eternità, senza fine. Non c'era tempo, non esisteva lo scorrere del tempo. Era la realtà vergine, incorrotta, intatta, incommensurabile."
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