sabato 30 novembre 2013

SCARDINARE IL SISTEMA TECNOGENO

Anteprima del nuovo libro di Vadim Zeland, Scardinare il Sistema Tecnogeno
Siete in grado di crearvi il mondo che più vi piace
Oggi è di gran moda parlare del fatto che il pensiero è materiale. Come fisico, posso dichiarare, con una certa autorità, che quest’affermazione è un’assurdità. Il pensiero non è materiale se non altro perché non può venir registrato dagli strumenti fisici di rilevazione e non ha una velocità di propagazione. Non appena pensate a qualcosa, il vostro pensiero si ritrova immediatamente ai margini dell’Universo, senza subire alcun ritardo (di trasmissione). L’elettroencefalogramma registra gli impulsi cerebrali risultanti dall’attività mentale del cervello, ma non i pensieri. Allo stesso modo, le lampadine che lampeggiano sul computer non mostrano i programmi stessi ma il processo della loro elaborazione.
Quando si tratta di energia, invece, è tutto più semplice: l’energia può essere fissata, sentita e anche visualizzata dall’oscilloscopio. Con i pensieri, invece, la questione è molto più complicata. Se qualcuno dice di essere in grado di spostare degli oggetti con “la forza del pensiero”, di nuovo, non è proprio così. Gli oggetti vengono mossi dall’energia. Essa sì è materiale. I pensieri, invece, non lo sono.
Ma cos’è un pensiero, ci avete mai riflettuto? Parlando del pensiero è chiara solo una cosa: esso contiene un certa informazione. Ma che cos’è esso precisamente, lo potete spiegare? Allo stesso modo, non si può spiegare cosa sia l’infinito. Immaginate di muovervi sempre più lontano dalla Terra, di oltrepassare il sistema solare, di volare al di là della galassia, di lasciarvi alle spalle tutti gli ammassi stellari, di raggiungere i confini del nostro Universo e di vedervi, forse, venire incontro già altri universi e altri ancora, e così all’infinito… Ebbene, tutto ciò è impossibile da immaginare, per quanto ci si voglia sforzare. Io, personalmente, immaginando questa situazione, provo un senso di smarrimento e di disagio nella mia mente. Come può essere una cosa del genere?
Ma non è tutto. Esiste un fatto che crea un disagio ancora maggiore: l’infinito e il punto. L’infinito e il punto sono topologicamente la stessa cosa. Immaginate di muovervi nell’infinito non verso l’esterno ma verso l’interno: superata la molecola, l’atomo, volate oltre gli elettroni che orbitano attorno al nucleo come pianeti, vi introducete nel protone e dentro il protone ecco già i quark, e così via, in un percorso anch’esso infinitamente lontano e lungo. Nessuna fine, nessun inizio e nessun modo per trovarli. E neppure un sostegno, un fondamento, una piattaforma su cui far atterrare la propria ragione nel tentativo di capirci qualcosa.
Che fare? Si è costretti ad accontentarsi di modelli che, con un’approssimazione grossolana, spiegano chi siamo e in quale mondo viviamo. Diversamente, “la nostra ragione perderebbe il lume della ragione”. Ed è così che avviene: se la ragione perde il suo appoggio in questo mondo, il suo “punto di unione” viene spostato in un altro mondo, parallelo, col risultato che la persona, secondo l’opinione degli altri, “ha perso la ragione, è impazzita”. Resta il fatto che, comunque si cerchi di dare una spiegazione, qualsiasi siano i modelli che vengono costruiti, i problemi rimangono irrisolti, ora così come lo erano prima. Anche il modello del Transurfing è una delle tante possibili interpretazioni, elaborata per cercare di spiegare più o meno chiaramente alla ragione come affrontare questa realtà strana e incomprensibile. L’unica consolazione è che questo modello, se non spiega proprio tutto, quanto meno funziona.
Il principio alla base del Transurfing è che l’uomo con i suoi pensieri si forma la sua realtà. Sembrerebbe strano: perché mai un fenomeno del genere è possibile, se i pensieri non sono materiali? Risposta: perché i pensieri non si trovano nella testa ma nello spazio metafisico e non materiale delle varianti, che conserva in modo stazionario tutto ciò che era, è e sarà.
I pensieri sono come i canali del televisore, e l’uomo è semplicemente un biotelevisore perfetto, in grado di connettersi a piacere all’uno o all’altro settore particolare dello spazio, dove si trovano questi stessi pensieri, “programmi televisivi”. E, similmente a un televisore, l’uomo non “genera” i programmi, li capta.
Tutti gli esseri viventi del nostro mondo “sono connessi” a un qualche programma. Le piante hanno i loro programmi, rigorosamente fissi. Gli esseri che sanno strisciare, nuotare, correre, volare, hanno dei programmi più flessibili, ma comunque “cuciti” in modo piuttosto aderente, a livello di istinti. Solo l’uomo è in grado di saltare liberamente e consapevolmente da un “canale” all’altro. Purtroppo, però, egli non utilizza pienamente questa sua possibilità e ciò a causa del fatto che si appassiona troppo al “serial televisivo mandato in onda” nella sua realtà. Questo serial, spesso triste, non finisce mai perché “il telecomando” si trova bloccato sullo stesso tasto.
L’uomo, però, è in grado di prendere in mano “il suo telecomando” e cambiare canale. Sì, la realtà non cambierà immediatamente: all’inizio, per forza di inerzia, verrà trasmesso lo stesso programma, ma se si insisterà a premere sul tasto giusto, il vecchio serial lascerà progressivamente posto alle scene del nuovo programma e alla fin fine la nuova realtà sostituirà completamente quella precedente. Così si materializzano i pensieri. L’unica condizione che bisogna osservare strettamente è la seguente: affinché la forma-pensiero si materializzi, è necessario fissare su di essa la propria attenzione a lungo e in modo sistematico.
Nella teoria del Transurfing ci sono diversi modelli “dimostrativi” che illustrano come questo funzioni. Uno di essi è stato creato in analogia al procedimento di sintonizzazione della radio su una frequenza: le persone capitano su quella linea della vita i cui parametri corrispondono all’“emissione mentale” che hanno in testa. In altre parole, ci si trova nella realtà corrispondente alla frequenza d’onda su cui ci si è sintonizzati.
Faccio notare che i termini “emissione mentale” ed “energia del pensiero”, usati nei primi libri, non sono pienamente corretti e servono più a facilitare la comprensione del concetto che a spiegare la struttura del mondo. Ci dimentichiamo sempre di trovarci in piedi di fronte allo specchio del mondo, per questo molte cose ci sembrano girate a testa in giù. Ripeto, noi non “emettiamo pensieri”, ma facciamo esattamente il contrario, ci colleghiamo ad essi poiché essi si trovano lì dove devono essere gli oggetti non materiali, nello spazio metafisico. Come avvenga esattamente questo collegamento nessuno lo sa.
Per farsi un’idea del processo, si può dire che all’inizio è come se illuminassimo con la torcia della nostra attenzione un certo settore dello spazio delle varianti e intercettassimo le informazioni lì presenti, ragion per cui ci sembra che i pensieri nascano nella nostra testa; in seguito, se quest’illuminazione viene fatta durare per un tempo piuttosto lungo, succede che la forma-pensiero corrispondente si incarna nella realtà, si materializza.
Un altro modello utilizzato nel Transurfing è quello dello specchio. La realtà che ci circonda è l’immagine speculare (se non proprio precisamente speculare, ad essa si avvicina molto) di ciò che si trova nei nostri pensieri. E qui è tutto molto semplice: il compito di ciascuno è solo quello di formare quell’immagine che vuole vedere nello specchio. Se volete vedere una faccia felice, vi basterà sorridere; se volete che l’immagine riflessa vi venga incontro, vi basterà fare un passo in avanti. Tuttavia, la difficoltà sta nel fatto che gli uomini cadono facilmente prigionieri dell’illusione speculare. Come incantati, senza staccare gli occhi, fissano lo specchio, cioè la realtà che li circonda. Ed esattamente come succede in sogno, si dimenticano di se stessi e della propria immagine di partenza, non si ricordano che dovrebbero seguirla e mantenerla consapevolmente nella forma desiderata.
Sembrerebbe che non ci sia nulla di difficile in questo processo, non è così? Basta distogliere l’attenzione dallo specchio, reindirizzarla verso l’immagine di partenza, formare l’immagine che si vuole vedere e poi osservare quello che succede nel riflesso. Ma no, l’uomo fa esattamente il contrario: di fronte alla “dura realtà” si spaventa, crede che sia veramente così e così sempre sarà, si fissa un modello mentale e vive in questa realtà triste, senza avere la forza di distogliere lo sguardo dallo specchio e dirigerlo su di sé, sui suoi pensieri, e trovare lì un tasto da schiacciare per cambiare.
Anche in questo caso si pone l’annosa questione: che cosa possiamo fare? La prima cosa da fare è mantenere la consapevolezza, fare in modo che lo specchio non ci trascini nel suo incantesimo come in un sogno. In secondo luogo occorre guardare non lo specchio, ma se stessi. Solo se si osservano queste due condizioni, la realtà circostante, cioè lo strato del vostro mondo, comincerà a cedere, non da subito, ma a poco a poco. L’importante è tenere costantemente e fermamente nei propri pensieri l’immagine desiderata, indipendentemente da quello che sta accadendo nella realtà. Comunque l’immagine riflessa, alla fin fine, si conformerà all’immagine di partenza. Non ha altra scelta!
più vi piace. Quando la vostra attenzione, o consapevolmente e con perseveranza, o involontariamente e con insistenza, è fissata su una certa immagine mentale, la realtà che vi sta intorno comincia a trasformarsi. Accadono cose strane. L’oggetto su cui concentrate la vostra attenzione comincia letteralmente a invadere il vostro mondo e a capitarvi sempre sotto gli occhi. Gli altri fenomeni del mondo, invece, non occupando più i vostri pensieri, finiscono per scomparire da qualche parte, senza lasciar traccia. Come può succedere una cosa del genere? La realtà non è forse una per tutti?
Non esattamente. È vero, la realtà è una sola, ma ognuno in questa realtà ha il suo strato singolo, separato da quello degli altri. Non è la realtà generale a cambiare, ma la configurazione dello strato del mondo di ognuno. Al vostro fianco un’altra persona può esistere in una realtà completamente diversa. È una cosa che può sembrare incredibile, ma è davvero così. Il mondo intero è molto eterogeneo e questa varietà basta per una moltitudine di possibili configurazioni per ogni singolo strato. Con i vostri pensieri vi costruite una versione unica e personalizzata del vostro mondo. Lì è incluso o escluso ciò che è rispettivamente presente o assente nei vostri pensieri.
Così, ad esempio, una donna che odia gli alcolisti, se li ritroverà sempre davanti nella sua realtà. Come sapete, ciò che vi dà fastidio è proprio ciò che possiede i vostri pensieri. Non solo, ma per soprammercato entra in gioco la polarizzazione creata dal potenziale superfluo. Succede così che i fattori irritanti vengono attratti dallo strato del mondo di una persona come la limatura di ferro viene attratta da una calamita.
Alla fine, se la donna del nostro esempio eccellerà nel suo odio nei confronti degli ubriaconi, questi ultimi finiranno col popolare totalmente lo strato del suo mondo, che si troverà invaso da una caterva di beoni appiccicosi, barcollanti o stesi a terra. Beoni saranno tutti i suoi uomini e beoni diventeranno i suoi figli.
Allo stesso modo, un uomo che nel profondo della sua anima è consapevole di essere lontano dalla perfezione e perciò cerca di convincere se stesso che tutte le donne sono delle puttane, o, nel migliore dei casi, delle stupide, incontrerà sempre donne di questo tipo. Le donne “di lega superiore” vivranno ben lontano dal suo strato, giacché egli stesso ha fatto la sua scelta e l’ha annunciata al mondo.
Vi sembra una storia fantastica? Niente affatto, questa è semplicemente la realtà speculare nella moltitudine infinita delle sue manifestazioni. Può darsi che lo scenario che ho disegnato sembri spaventoso per qualcuno… comunque sia, non vale la pena di preoccuparsi. Si tratta solo del lato esterno, visibile, dello specchio duale. La realtà che si nasconde al nostro sguardo è molto più spaventosa.

Istruzioni per un diario


Ho così tante cose da raccontarvi e su cui portare l'attenzione, che non so da dove cominciare, amici! Ho deciso, tuttavia, di "ripartire" da un argomento che, in modo sincronico, mi è stato chiesto da più persone: il diario! Sì, sto parlando del prendere nota dei propri pensieri ed emozioni, e confidarli a un quaderno.

Il diario è uno strumento interessante che può essere usato peralimentare la propria crescita. Se volete provare, ecco qui alcune indicazioni...



A chi è rivolta questa pratica?

A tutti: a chi ama scrivere e a chi non ama scrivere, o pensa di non saperlo fare. Non si tratta, qui, di realizzare un'opera d'arte, ma di attivare un contatto con parti di sé più sfuggenti o profonde. Scrivere il diario può essere utile nei momenti di crisi o a cavallo delle rinascite, ma ben si presta anche come semplice attività quotidiana.

Scopo

Lo scopo è quello di non avere scopo...
Poi, in questo non-scopo, accade che energie bloccate per causa di stress e problemi in corso, comincino a fluire. Accade che la capacità di accorgersi di se stessi, e quindi del proprio modo di stare al mondo, si faccia più grande. Accade che si diventi più ricettivi nei confronti di intuizioni e messaggi... Ebbene, per esperienza, tutto questo diventa possibile quando non fa parte di alcuno scopo. Insomma, non abbiate aspettative: solo così potrete stupirvi davvero.

Per quanto tempo?

Consiglio di provare un periodo di almeno tre mesi. Poi si può decidere se continuare o meno, ma in ciò non chiedete la mia opinione in merito giacché io vi direi di continuare per il resto della vostra vita (scrivo il diario da sempre).



Cosa occorre

Questo è un appuntamento che dedicate a voi stessi, quindi il primo ingrediente è il tempo.
Ricavatevi del tempo e fate in modo che nessuno vi disturbi: almeno 20-30 minuti al giorno.

Per trovare il tempo, all'interno di densissime giornate già molto provanti, io metto la sveglia mezz'ora prima; e mai una volta che mi sia pentita! Quando, invece, ogni tanto salto l'appuntamento col diario, poi mi sento come se mi mancasse la carica per affrontare la giornata.

Il secondo ingrediente è un mezzo materiale: un quaderno o dei fogli.
Con l'aiuto di qualche colore, inoltre, potreste sottolineare le frasi che vi colpiscono o disegnare piccoli simboli grafici di lato alla pagina. La parola chiave è: contatto con il foglio.
Dovete sapere che la "materia" è un supporto per la manifestazione sul piano fisico della "memoria", sia fisica sia spirituale. E' una specie di ponte che collega con ciò che è al di là. Non a caso gli altari di tutti i tempi sono eretti con l'utilizzo di pietre e marmi. I dispositivi digitali, invece, possono ampliare le "dimenticanze", oltre a stressare l'aura e l'energia vitale.
Tuttavia, se trovate scomodo e "rallentante" usare una penna (tantissime persone si sono praticamente disabituate!), utilizzate pure il computer e non fatevene un problema. A patto, poi, che stampiate i vostri scritti e che quindi, alla fine, vengano impressi su un supporto materiale.

Scegliete una pianta o un rappresentante del mondo vegetale: tenetela vicino o a portata di vista (il contatto con la natura è altamente ispirante).

E accendete una candela, per onorare l'appuntamento con voi stessi.

Come e quando

Ogni giorno alla stessa ora o in concomitanza di una stessa azione (quando ci si alza, prima di cena, ecc.), vi siederete alla scrivania o in un luogo a voi comodo, lontano da interferenze, con la pianta vicino e la candela accesa, e poi inizierete a scrivere sul quaderno, proseguendo per almeno 20 o 30 minuti.

Il momento ideale è al mattino, appena svegli, in un orario che va dalle 5:30 alle 7:30 (o quando si può). Le prime ore del giorno, infatti, favoriscono il contatto con i mondi sottili e luminosi. Non potendo in questo orario, ci si adatterà in base alle personali esigenze.

Ma cosa scrivere, esattamente?

Ah, questo è un bel dilemma! Di fatto, non si sa mai cosa si sta per scrivere... In genere lo si scopre mentre accade! Capisco, tuttavia, che all'inizio ci si possa sentire un po' spaesati, ecco qui, allora, alcuni suggerimenti per iniziare.

Se in questo periodo c'è qualcosa che vi opprime, potete parlarne nel diario. Qui siete autorizzati a manifestare tensioni, preoccupazioni, pensieri pesanti, malumori, tensioni e lamenti. Un utilizzo "ecologico" del diario è di fare proprio da "raccogli-spazzatura" di tutti i pensieri pesanti che si hanno dentro e rallentano l'anima.
Il capoufficio vi ha trattato ingiustamente e avete un bel nodo alla gola? Scrivetelo!
La persona che vi piace e di cui vi siete innamorati vi tratta a pesci in faccia? Scrivetelo!
I capricci di vostro figlio vi fanno desiderare di mollare tutto e partire per i Caraibi? Scrivetelo!
Scrivete tutti i pensieri che chiedono attenzione e lasciate chetrabocchino attraverso le vostre parole.
Queste energie, se trattenute all'interno, attaccano la salute fisica ed emotiva... Tanto vale, allora, parlarne nel diario, scrivendo a ruota libera e con la certezza che nessuno potrà giudicarvi.

Se ancora non avete idea di cosa scrivere, pensate a quello che avete fatto nelle ultime 24 ore e descrivetelo. E' stato qualcosa di interessante? E' successo qualcosa che ha attirato la vostra attenzione? O è tutto stato noioso e avete incontrato le solite persone? Scrivetelo, che la cosa vi piaccia o meno. All'estremo, potete anche arrivare a scrivere: "Non so di cosa parlare, non mi viene in mente niente, e ora metto giù queste parole per far passare il tempo..."
L'importante è che scriviate e riempiate il foglio. A volte questo è sufficiente per attivare dei ricordi o dei progetti... allora ci si troverò a scrivere: "Fra qualche giorno devo incontrarmi con Mario. Ammetto che sono contenta di andare a pranzo con lui", "La prossima settimana devo consegnare quel lavoro importante, e penso che sia una buona occasione per far vedere quanto valgo", ecc.
Scrivete qualunque cosa, anche a caso, anche se sembra "stupido".
Ancora, potete parlare di un film appena visto, dei progetti per il fine settimana, del lavoro che vorreste cambiare, della lista della spesa... Ma continuate a scrivere. Questa è un'attivazione: vivetela senza nessuna aspettativa.



Il metodo delle domande

Dopo una prima fase (qualche giorno o settimana) di "contatto esplorativo" con il diario, spesso si diventa pronti per utilizzarlo in qualità di "consigliere", cioè un sapiente suggeritore che aiuta a muoversi meglio all'interno del proprio panorama interiore.
Per attivare questa funzione del diario, bisogna essere disposti a fare domande. E intendo domande "autentiche", quelle che accendono una nuova attenzione, non quelle che si credono tali solo perché hanno un punto interrogativo alla fine della frase.

Fare domande è più importante del dare risposte: ogni risposta è collegata alla domanda, quindi se la domanda non sa puntare nella giusta direzione, la risposta non potrà rivelarsi.
Fare domande è un'arte preziosa, che va conquistata e allenata, e nessun campo, in questo senso, è meglio del diario.

Una domanda può aprire la mente, quanto chiuderla. Toccare il cuore, quanto indebolirlo.
Consideriamo queste due domande:
- Dio esiste?
- Ci sono indizi che possono far pensare che siamo parte di un'intelligenza "più grande"?
La prima domanda ci tiene sul piano filosofico, mentale; la seconda stimola in modo più concreto ad accorgersi di eventuali "vie invisibili" sul proprio cammino.
Ecco che sembrano domande simili, eppure in verità sono assai diverse!

Per quanto mi riguarda, le domande sono il sale della mia intuizione, anche e soprattutto quando affronto un periodo difficile e ho bisogno di lamentarmi! Io faccio così: inizio il diario annotando i pensieri pesanti (fase "raccogli-spazzatura"), poi, appena ho scaricato la mente e il cuore da questa energia, mi metto a caccia di "domande ispiranti"... Adoro questa fase, infatti mi permette di accorgermi di nuovi strumenti e di fare i passi successivi!

Vediamo degli esempi.
Magari dentro avete domande come:
- "Perché la vita ce l'ha con me?" 
- "Cosa ho fatto di male per meritarmi questa situazione?".
Scrivetele sul diario: così facendo, in parte scaricherete l'energia di frustrazione, e dall'altra sarete costretti a portarvi un'attenzione meno automatica.
Poi, a partire da questi interrogativi, mettetevi alla ricerca di nuove formulazioni.
Ecco che, avendo preso un po' di coraggio, potreste osare e scrivere nel diario qualcosa del tipo: 
- "In questa situazione, c'è un messaggio che posso ascoltare?"
- "Qual è il senso di questo ostacolo?"
- "Quale parte di me può aver contribuito a creare tale circostanza?"
A questo punto, lasciatevi liberi di ricevere la risposta, qualunque voglia essere.

Altre domande interessanti sono quelle da fare "per gioco"
- "Giocando, se non avessi paura di essere giudicato, che scelta farei?"
- "Giocando, se avessi fiducia nelle mie capacità e nel supporto dell'universo, che lavoro sceglierei?"
- "Giocando, se avessi rispetto di me e dei miei sentimenti, che persona vorrei accanto a me?"
- "Giocando, se io fossi un grande saggio, che cosa mi direi per affrontare questa situazione?"
... e così via.

Il giudizio

Nella pratica del diario, il non-giudizio non solo è importante, ma fondamentale.
Durante i tentativi di contatto con il mondo delle proprie parole, qualcuno potrebbe sentirsi tentato dal fare valutazioni del tipo: "Non so scrivere bene, allora che scrivo a fare?" o "Come ho fatto a scrivere questi pensieri... devo essere matto!" Niente di più castrante per i mondi interiori che timidamente cercano di contattarci attraverso il diario.

Attenzione anche alle "esaltazioni"... c'è infatti chi "parte in quarta" e subito pensa: "Sto certamente canalizzando l'arcangelo Uriel e quel che mi dice è verità assoluta".

Occorre lasciare che le informazioni emergano attraverso il diario, mantenendosi nella posizione dell'osservatore: colui che non giudica e non arriva a conclusioni definitive.
Siate consapevoli che in ciascuno di noi esistono infiniti mondi e che quindi possono emergere infinite voci, ognuna con una personalità differente (bambino, artista, critico, invidioso, saccente, stupido, ingenuo, saggio, alieno, intuitivo, esaltato, positivista, contabile, disordinato, guida spirituale, ecc.). Il diario ci permette di contattare queste personalità e, attraverso le domande, di instaurare un dialogo con loro. Ma guai a identificarsi con una di queste, si fermerebbe inesorabilmente il processo della scoperta e della crescita.

La rilettura

Alla fine dei primi tre mesi (oppure ogni tre mesi, se si continua a scrivere), bisognerà rileggere le proprie pagine scritte.
Questo aiuta a:
- Rendersi conto delle voci ricorrenti che si hanno dentro, sia negative sia positive;
- Misurare più concretamente quegli aspetti di sé che nel frattempo sono maturati;
- Recuperare eventuali idee che sul momento sembravano poco utili, ma che ora potrebbero avere senso;
- Prendere coscienza di intuizioni, arrivate chissà da dove, che fanno breccia nell'anima e la curano a un livello profondo...

http://spiritualitaquotidiana.blogspot.it/2013/11/istruzioni-per-un-diario.html


venerdì 29 novembre 2013

33 Bowls

CHAKRA AWAKENINGS

MUSICA PER MEDITARE soundcloud

Il Canto del Grillo o Coro di Angeli? Scopritelo

suoni della natura non sono proprio come li sente il nostro orecchio umano, molti dei suoni che sentiamo gli animali li sentono in maniera differente. Per questo Jim Wilson ha pensato di ascoltarli in maniera differente.
Lui ha registrato il canto dei grilli e poi lo ha semplicemente rallentato… Il risultato è qualcosa di impressionante, quasi mistico…quello che si ascolta sembra un canto umano, un coro a dire il vero…
Mi piace pensare che ci sia un mondo parallelo, quello della natura, dove i suoni che noi sentiamo siano sentiti in una maniera diversa, forse i grilli sentono così, più lentamente, non lo so ma il suono è angelico e a confermarlo è il famoso creatore di colonne sonore come Fight Club, 12 scimmie, The Walking Dead, tra le altre, Tom Waits, che quando ha sentito per la prima volta questo “canto” ne è rimasto letteralmente affascinato.
Un’idea semplice ma dal risultato inaspettato, e Tom Waits parla così di Wilson e della sua idea:

«Wilson gioca sempre con il tempo. Di recente ho sentito un pezzo di registrazione del canto dei grilli rallentato fino a sembrare un coro, suona come un angelo, una musica frizzante, celeste piena di armonia e parti di basso… Roba da non crederci. E’ come un coro travolgente del cielo, ed è solo rallentato, il nastro non è stato manipolato. Quindi penso che quando Wilson rallenta la gente, ti dà la possibilità di vederla in movimento attraverso lo spazio. E c’è qualcosa che deve essere fatto per rallentare il mondo»
Di seguito potete ascoltare questo magnifico coro ancestrale. Nella registrazione ci sono due tracce la traccia dei grilli a velocità normale e la traccia dei grilli rallentata. Fonte

[Fonte soundcloud.com]

MOOJI Siamo qui per provare l’illusione e poi di trascenderla















Siamo venuti qui per provare l’illusione e poi di trascenderla.
È come se la coscienza, che è pura in natura, avesse creato un gioco di imperfezione apparente al fine di farne l'esperienza e trascendere tutto.
Tutta questa la vita è un gioco di transitorietà.
Tutto è impermanente, anche se è divino.
Quello che sei però è senza tempo.
Ognuno è solo una manifestazione della presenza di Dio che indossa la veste del tempo.

Mantieni nel cuore la gratitudine per tutto ciò che la vita ti porta.
Tutto è al servizio del tuo risveglio da questo lungo sonno dell'illusione all’interno del tuo vero Sé così pieno di vita e di amore.

Dì grazie alla vita.
Dì grazie a Dio.
Dì grazie al tuo essere più intimo.
Anche se non puoi vedere per adesso chi stai ringraziando, continua a dire grazie.

Questo cambierà la vibrazione in te, ti renderà luminoso e aperto, pieno di amore, perdono e gioia.
Alla fine di tutto quanto: Non preoccuparti.
Tutto è nelle mani di Dio.
Va tutto bene.
Va tutto bene.

Mooji  2013

Quando un budda sceglie di essere donna



I Tibetani che - mille anni fa - viaggiavano a piedi fino a raggiungere le grotte e le foreste dell'India, per trovare e ricevere gli insegnamenti buddhisti, scoprirono che molte donne erano di fatto grandi maestre tantriche; chiamate yogini, praticavano le discipline esoteriche seguite da un gran numero di discepole. Dal carattere fiero, indipendente e rigoroso, le yogini trasmettevano i loro segreti spirituali agli uomini che desideravano essere iniziati, dando un grande impulso allo sviluppo del Buddhismo tantrico. A un certo punto, queste donne straordinarie scomparvero di vista.

Ma non s
comparvero dalla mente dei praticanti. La loro corrispondente forma "beatificata" danza nel cuore dei mandala di tutto il pantheon tibetano.

"Nel campo spirituale, l'energia femminile ha le stesse capacità e possibilità di quella maschile", afferma Kyabje Gehlek Rinpoche, Lama tibetano e insegnante buddhista ("Rinpoche" significa "il prezioso") inviato in Occidente dai tutori del Dalai Lama. Gehlek Rinpoche, noto nei circuiti spirituali per la sua vicinanza al poeta Allen Ginsberg (e per averlo assistito spiritualmente al momento della sua morte), è il fondatore dei Centri di Buddhismo tibetano di Ann Arbor (Michigan) e Soho. 

Una mattina di alcuni giorni fa (7 Agosto 2005) Gehlek Rinpoche era seduto di fronte alla divinità Tara, raffigurata in un dipinto del diciottesimo secolo contenuto in "Buddha femminili: donne di illuminazione nell'arte mistica tibetana", mostra in corso di svolgimento al Rubin Museum of Arts di Chelsea. "Ciò di cui c'è più bisogno in questa epoca è una presenza femminile", ha detto il Lama. 

Gehlek Rinpoche ha spiegato che Tara ha fatto voto di manifestarsi nel mondo in forma femminile. 

Tutti i Bodhisattva le avrebbero detto: "Tara, tu ora potresti essere tutto ciò che desideri, potresti essere un uomo". Tara avrebbe risposto: "Vi ringrazio, ma la mia risposta è no". "Tara ha scelto un corpo femminile per illuminare la via di tutti gli esseri", ha detto Rinpoche; "La sua immagine ci aiuta ad essere consapevoli del Buddha che esiste dentro ciascuno di noi; ci aiuta a ricordarci che non siamo soltanto esseri fisici, materiali"

Nella pratica degli insegnamenti tantrici segreti, secondo l'attuale Dalai Lama, le donne sono addirittura avvantaggiate; gli uomini invece tendono a mettersi in evidenza nelle forme più "comuni" (non esoteriche) del Buddhismo tibetano. Il Primo Dalai Lama (1391-1475) compose un canto mistico di ventuno lodi a Tara, che si dice sia sorta dall'oceano di lacrime della divinità principale tibetana: Avalokiteshvara, il Bodhisattva della Compassione. 

Tara, il cui nome significa "Stella" (forse con riferimento alla Stella Polare, la cui luminosità ha il potere di guidare coloro che si sono smarriti) è l'energia dell'illuminazione personificata. Tara è al tempo stesso una madre appassionata, una protettrice irata, una soggiogatrice di ostacoli veloce e senza paura. Con occhi dardeggianti come fulmini, batte i piedi e semina il panico fra dei e demoni allo stesso modo, riparando i torti e le ingiustizie e adempiendo alla sua promessa di donare al mondo le divine energie femminili. 

La sua intensa femminilità è tutto fuorché docile o sottomessa, come appare con lampante evidenza nella mostra del Rubin Museum e in un'altra mostra collegata (avente lo stesso nome) presso il Bruce Museum di Greenwich, Conn. Tara e il suo seguito di yogini bevono il sangue degli avversari del Dharma, danzano nude sui corpi dei nemici sconfitti e si abbracciano a consorti maschili in un'appassionata unione sessuale. Sono liberatrici trascendenti, che si ergono a difesa della "Natura illuminata" presente in ciascuno di noi, quando ci rivolgiamo verso la nostra saggezza interiore. 

(articolo di Kay Larson - pubblicato sul New York Times del 7 Agosto 2005) 


Fonte

martedì 26 novembre 2013

Dobbiamo un gallo ad Asclepio



Siamo nell’anno 399 a.C. ad Atene. Sul letto di morte Socrate dice rivolto a discepoli e amici presenti: “Dobbiamo un gallo ad Asclepio.” Invitandoli a saldare un debito che avevano contratto nei giorni precedenti. Quindi si copre il volto... e dopo un ultimo sussulto, muore.


Poco prima un uomo aveva portato la ciotola contenente il veleno che avrebbe ucciso Socrate. “La prese – descrive Platone nel Fedone – con tutta la sua serenità, senza alcun tremito, senza minimamente alterare colore o espressione del volto, ma guardando quell'uomo, di sotto in sù, con quei suoi occhi grandi di toro.”


Riuscite a immaginarvi al suo posto? Sdraiati su un letto, negli ultimi istanti della vostra vita? Socrate è un uomo che sta per morire, che sta per abbandonare questo mondo, che non rivedrà più le persone più care che lo circondano in quel momento, eppure è il più lucido e sereno tra coloro che si trovano nella stanza.


“Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere le lacrime, quando lo videro bere, quando videro che egli aveva bevuto, non ce la fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi, sgorgarono copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura; di tanto amico sarei rimasto privo.”

“Apollodoro poi, che dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali lamenti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi proprio lui esclamò: «Ma che state facendo? Siete straordinari. E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scene simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti.”


Lui, che ha appena bevuto la cicuta e sta morendo, invita gli altri a stare calmi. La domanda è: che cosa fa sì che un uomo possa raggiungere questo grado di coscienza?


“E noi, provammo un senso di vergogna a sentirlo parlare così e trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò un po' su e giù per la stanza, poi disse che si sentiva le gambe farsi pesanti e così si distese supino ...”

“Egli era già freddo fino all'addome, quando si scoprì (s'era, infatti, in precedenza coperto) e queste furono le sue ultime parole: «Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate.»”




Queste furono le ultime parole di uno fra gli uomini più grandi che abbiano calcato la crosta di questo pianeta. Sono passate alla storia, poiché dietro di esse, a parte la famosa ironia socratica che aveva costellato tutta la sua vita, si colloca l’insegnamento forse più grande che un maestro possa lasciare ai suoi discepoli: la capacità di vivere il qui-e-ora, l’istante presente, l’Adesso... come direbbe anche un famoso personaggio del nostro tempo.


Socrate non è ancora morto, e fino a quel momento le sue preoccupazioni sono altre. Quando arriverà la morte si occuperà anche di quella, ma fino a un istante prima si occupa di altre incombenze... magari più urgenti! Un autentico maestro zen non saprebbe fare di meglio e non saprebbe essere più ironico di così.


Nel corso degli ultimi dieci anni circa, sia i ricercatori che i professionisti (psicologi, neurologi, counselor e psicoterapeuti in genere) che operano nell’ambito della salute mentale hanno scoperto che le pratiche dimindfulness, antiche e moderne, sono in grado di alleviare praticamente ogni genere di sofferenza psicologica: dalle preoccupazioni e insoddifazioni di tutti i giorni fino ai probelemi più gravi di ansia, depressione e abuso di sostanze. La ricerca sperimentale e poi la pratica clinica stanno confermando ciò che le antiche culture affermano da lungo tempo, cioè che lo stato dimindfulness permette di alleviare, se non far scomparire del tutto, le nostre sofferenze.


La mindfulness viene definita (vedi bibliografia in fondo all’articolo) come consapevolezza dell’esperienza presente accompagnata da accettazione. In verità non ci sarebbe nemmeno bisogno di aggiungere la seconda parte della frase, in quanto l’autentica consapevolezza del momento presente è sovramentale, ossia priva di giudizio, e dunque già per definizione intrisa non solo di accettazione, ma anche di amore per quanto viene osservato. In ogni caso io ho riportato la definizione clinica.


Ma è esattamente ciò di cui hanno parlato Socrate, Buddha, Lao Tse, Osho, Krishnamurti, Gurdjieff, Tolle, ecc. ... ognuno utilizzando termini differenti in contesti differenti. Ecco quindi il grande segreto che ha attraversato la storia della spiritualità sulla Terra. Ogni insegnamento che miri al benessere dell’individuo alla fine può essere sintetizzato nello stesso modo: occupatevi solo del momento presente e non soffrirete più.



Stiamo trattando di una capacità che va allenata esattamente come ogni altra capacità umana. Uno studio (vedi sempre bibliografia) condotto su un gruppo di persone praticante la mindfulness per diversi anni, con almeno sei ore di pratica alla settimana, ha evidenziato un ispessimento consistente della corteccia cerebrale in tre aree del cervello: insula anteriore, corteccia sensoriale e corteccia prefrontale. Il grado di ispessimento è risultato proporzionale alla quantità di tempo che ogni persona aveva dedicato alla pratica settimanalmente.


Come avrete capito il termine mindfulness è un tentativo – a mio parere molto ben riuscito – di definire scientificamente una pratica e poi uno stato interiore che sono sempre stati presenti nei differenti percorsi esoterici e spirituali sia occidentali che orientali. Per cui tutti gli esercizi di ricordo di sé che io consiglio nei miei libripossono tranquillamente rientrare in questa definizione, così come il percorso che propone Eckhart Tolle o quello di Rudolf Steiner.


Forse ciò che ancora non è stato scoperto sperimentalmente è che grazie a una pratica di concentrazione sul momento presente (l’essere “Figli del Momento”, come diceva Draco Daatson ai suoi Guerrieri) si slitta fuori dalla mente per identificarsi – e al contempofabbricare – il corpo causale, ossia la sede di ciò che le religioni chiamano anima. Non stiamo quindi unicamente svolgendo un esercizio che ci serve a “rilassarci in ufficio”, ma abbiamo fra le mani un’impresa ben più grandiosa.


La Bellezza di vivere istante per istante senza le preoccupazioni d'una mente che ci sballotta dai ricordi del passato alle ansie sul futuro è la ricompensa per chi ha intrapreso con cuor-aggio la Via che porta a Ucronia, la città senza tempo.


E ricordatevi... che dobbiamo un gallo ad Asclepio.


Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)





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