Se c'è vita ci sara' morte
Nella pratica dobbiamo costantemente tenere presente che tutti noi incominciamo necessariamente come bambini, e che non è possibile essere adulti dal primo momento. All’inizio non si è ancora purificati, si cade in stati di sudiciume, si vive impantanati nel fango e nella palude, come un fiore di loto non ancora sbocciato, che ancora dipende dalla sporcizia per il nutrimento. Noi siamo come quel fiore: veniamo al mondo non ancora pienamente maturi, pronti e completi, ma appesantiti dalla necessità di dover combattere contro ogni sorta di ostacoli. Ci sono felicità e sofferenza, bene e male, giustizia ed ingiustizia. Sperimentarlo è una cosa normale per una persona non risvegliata, che abbia ancora polvere nei propri occhi. Chi ha polvere negli occhi non può conoscere la luminosità e la chiarezza non gravate da insoddisfazione ed inadeguatezza. Gli inconvenienti della prima fase, il fatto che all’inizio ci sia sempre da soffrire, sono semplicemente normali. E’ come quando si sta al buio. Vivere nell’oscurità non è così piacevole come si potrebbe aspettare. C’è sempre un certo senso di fastidio e disagio, uno stadio in cui non si è ancora liberi dalla dipendenza, non si è completamente compiuti, ma si continua ad avere esperienza di porzioni di felicità e di sofferenza, un po’ di soddisfazione alternata ad un po’ d’insoddisfazione. E tutto questo perché il mondo delle condizioni non è stato ancora trasceso e non siamo ancora in un luogo sicuro, ma in un continuo girovagare attraverso il samsara, il ciclo di nascita e morte. A volte le situazioni che si determinano risultano positive, altre volte negative, secondo ciò che è puramente la condizione naturale delle cose, fino a quando non sarà raggiunto il punto d’arrivo della nostra pratica..
Ognuno ha bontà, perfezione e purezza in sé stesso, e sicuramente in ciascuno di noi ci sono alcuni tratti della personalità che si possono far emergere nella consapevolezza in un modo efficace, con il compito di renderli completi e perfettamente compiuti. Come le fiamme di un fuoco: dove ora queste divampano, prima non c’era fuoco alcuno, ma una volta appiccate esse appaiono, da ciò che era buio e il fuoco incomincia ad ardere esattamente lì. Per noi come per le fiamme; ciascuno proviene da zone oscure, dall’essere un bambino, una persona priva di forza, non ancora pronta, ed è naturale che ciò produca disorientamento, perché sarebbe semplicemente impossibile con uno stato di questo tipo avere fiducia piena e chiarezza.
La gente si inebria dell’illusione che il corpo sia esente dalla minaccia di malattia, afflizioni, dolori e febbri. Le persone credono di non dover morire, degenerare e decomporrei; non contemplano questa possibilità, anche se è quello che accade. Sebbene il nostro corpo fisico in realtà è un fenomeno condizionato, sempre soggetto alla necessità di assecondare la natura dei costituenti materiali che lo compongono, ci piace considerarlo come permanentemente potente, solido, forte, non afflitto dalla malattia e dal dolore. Vogliamo guardare al corpo a partire dalla nostra ottica abituale, come se esso dovesse essere immutabile in ogni situazione, mentre il Buddha ha mostrato che: se c’è luce ci sarà buio, se c’è caldo, freddo. Le cose devono procedere necessariamente così, per cui ogni stato di vigore, agilità o agio può, assecondando la propria natura, degenerare in uno stato di declino e rovina nell’arco di un giorno, o in un singolo istante. Il corpo non va considerato come qualcosa d’importante a cui continuare ad attaccarsi o a cui far aderire concezioni di un sé personale.
Il Buddha ha chiamato sakkayaditthi l’illusione generata intorno al corpo, la visione che esso sia un sé, che noi e gli altri siamo i nostri corpi, e che il corpo è un nostro possesso; il Buddha ci ricorda di richiamare continuamente alla mente come nulla sia nostro, o sia il nostro sé,che ci appartiene realmente. Per mezzo di questa riflessione si incomincia a mollare la presa dell’attaccamento alle cose (upadana), che è la radice di ogni senso di importanza personale.
Quanto più diamo importanza a noi stessi, tanto più diveniamo inclini ad un movimento sconsiderato proteso verso sensazioni non salutari, verso l’insoddisfazione, fino al punto che finiamo lanciati all’inseguimento di un sentiero che conduce in regni di oscurità, nella fluttuazione attraverso i cicli di nascita e divenire, che il Buddha ha mostrato costituire l’intera sofferenza. Ecco che vengono in essere stati di rabbia, avidità o confusione; sorgono desiderio, avversione ed ignoranza; e tutto ciò racchiude insoddisfazione ed infelicità.
Phra Visuddhisamvara Thera (Luang Por Liem Thitadhammo)
segue su http://santacittarama.altervista.org/luce.htm
http://divinetools-raja.blogspot.it/ La Via del Ritorno... a Casa
Ognuno ha bontà, perfezione e purezza in sé stesso, e sicuramente in ciascuno di noi ci sono alcuni tratti della personalità che si possono far emergere nella consapevolezza in un modo efficace, con il compito di renderli completi e perfettamente compiuti. Come le fiamme di un fuoco: dove ora queste divampano, prima non c’era fuoco alcuno, ma una volta appiccate esse appaiono, da ciò che era buio e il fuoco incomincia ad ardere esattamente lì. Per noi come per le fiamme; ciascuno proviene da zone oscure, dall’essere un bambino, una persona priva di forza, non ancora pronta, ed è naturale che ciò produca disorientamento, perché sarebbe semplicemente impossibile con uno stato di questo tipo avere fiducia piena e chiarezza.
La gente si inebria dell’illusione che il corpo sia esente dalla minaccia di malattia, afflizioni, dolori e febbri. Le persone credono di non dover morire, degenerare e decomporrei; non contemplano questa possibilità, anche se è quello che accade. Sebbene il nostro corpo fisico in realtà è un fenomeno condizionato, sempre soggetto alla necessità di assecondare la natura dei costituenti materiali che lo compongono, ci piace considerarlo come permanentemente potente, solido, forte, non afflitto dalla malattia e dal dolore. Vogliamo guardare al corpo a partire dalla nostra ottica abituale, come se esso dovesse essere immutabile in ogni situazione, mentre il Buddha ha mostrato che: se c’è luce ci sarà buio, se c’è caldo, freddo. Le cose devono procedere necessariamente così, per cui ogni stato di vigore, agilità o agio può, assecondando la propria natura, degenerare in uno stato di declino e rovina nell’arco di un giorno, o in un singolo istante. Il corpo non va considerato come qualcosa d’importante a cui continuare ad attaccarsi o a cui far aderire concezioni di un sé personale.
Il Buddha ha chiamato sakkayaditthi l’illusione generata intorno al corpo, la visione che esso sia un sé, che noi e gli altri siamo i nostri corpi, e che il corpo è un nostro possesso; il Buddha ci ricorda di richiamare continuamente alla mente come nulla sia nostro, o sia il nostro sé,che ci appartiene realmente. Per mezzo di questa riflessione si incomincia a mollare la presa dell’attaccamento alle cose (upadana), che è la radice di ogni senso di importanza personale.
Quanto più diamo importanza a noi stessi, tanto più diveniamo inclini ad un movimento sconsiderato proteso verso sensazioni non salutari, verso l’insoddisfazione, fino al punto che finiamo lanciati all’inseguimento di un sentiero che conduce in regni di oscurità, nella fluttuazione attraverso i cicli di nascita e divenire, che il Buddha ha mostrato costituire l’intera sofferenza. Ecco che vengono in essere stati di rabbia, avidità o confusione; sorgono desiderio, avversione ed ignoranza; e tutto ciò racchiude insoddisfazione ed infelicità.
Phra Visuddhisamvara Thera (Luang Por Liem Thitadhammo)
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