ama e fa ciò che vuoi
Dire che questo ufficio è in disordine e lamentarsi perché nessuno se ne occupa è un’a- zione giudicante. Innesca polemica e non risolve la questione. Sono le lamentele che ascolti tutti i giorni, da Facebook al telegiornale. Dire, invece: «Credo che questo ufficio abbia bi- sogno di una sistemata, ho chiamato il pittore e mi ha detto che ci potrebbero volere tre giorni, e possiamo farlo se voi mi date una mano in questa cosa», ha un significato diverso. Devi offrire la tua soluzione personale, il tuo impegno e il tuo coinvolgimento in compiti precisi di altri. In estrema sintesi:
Lamento + inazione = malattia.
Lamento + azione = rivoluzione!
Hai presente tutti i vari “Je suis Charlie” e le bandiere tricolori che hanno riempito le bacheche del mondo? Dove sono, adesso?
La frase «ama e fa ciò che vuoi» di Agostino di Ippona è la summa di questo approccio: deciso il tuo intento, agisci di conseguenza, nei modi che credi: non è “ama e sii gentile”, ma ama e decidi i mezzi più opportuni di difendere il tuo Amore. Ma, soprattutto: fa’!
C’è chi sugli spalti dello stadio inveisce contro l’arbitro con gli epiteti che conosciamo, chi invece tace: ma chi sta giocando la partita?
Possiamo essere spettatori urlanti o spettatori silenti: ma que- sto non cambia la nostra natura di spettatori, fino a quando non decidiamo che quella partita la vogliamo giocare in prima persona.
Faccio un altro esempio molto pragmatico: in ufficio c’è una macchia sul muro.
Luigi: vede la macchia e tace.
Giorgio passa e dice: «Ma guarda qua! Come si può?». E se ne va.
Luca dice: «Ah! Una macchia sul muro! Qualcuno dovrebbe assolutamente intervenire!».
Filippo: «Guarda la macchia, prende uno straccio e la pulisce». Alessandro: Guarda la macchia, prende uno straccio, la puli- sce, torna alla sua postazione e propone un protocollo per la verifica della pulizia dell’ufficio.
Se non posso o non voglio fare nulla per la macchia, devo tacere.
Chi giudica non è sostanzialmente diverso da chi tace, ma chi giudica offre frustrazione senza soluzione, soprattutto senza indicare quale sia e sarà il suo preciso impegno per risolvere la situazione di cui si lamenta. Appare socialmente più “coin- volto e attivo” ma ciò che di fatto avviene è un risucchio ener- getico.
Se qualcuno ha già raccontato tre volte, dico solo tre volte, un suo disagio personale, relazionale, o professionale, senza aver compiuto alcun gesto concreto per modificare la situazione di cui si lamenta, matura una convinzione razionale che il suo problema non abbia di fatto soluzione.
Luciana Landolfi, Paolo Borzacchiello
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