USCIRE DALLA TRAPPOLA DELL'EGO

La maggior parte degli esseri umani è imprigionata nella trappola infernale dell’Ego.
Dall’Ego ipertrofico nascono tutte le sofferenze, tutte le ingiustizie, tutte le crudeltà e tutte le più amare delusioni.
Eppure, incredibile a dirsi, pochissimi riescono a vedere la trappola dell’Ego e, anzi, si precipitano in essa con una sorta di gioioso furore autodistruttivo.
Queste persone egoiche, autocentrate, narcisiste (anche quando credono di essere altruiste), sono insaziabilmente bramose di riconoscimenti, di gratificazioni, di amore; nulla è mai abbastanza per la loro fame smisurata.
Ecco una brillante, ma temutissima capoufficio: è molto professionale, ma dura, intransigente, la sua lingua taglia come una spada; le sue sottoposte vivono nell’ansia e nel terrore; non ha mai una parola buona per nessuno, tranne per i suoi “protetti”; vuole sempre essere al centro di tutto, prendersi il merito di tutto, far vedere che, senza di lei, nulla funzionerebbe e nulla andrebbe per il verso giusto.
Una volta è venuta a sapere che le impiegate si erano trovate, la sera, a mangiare una pizza per conto loro: apriti cielo!, come mai non l’avevano invitata? Come avevano potuto escluderla in maniera tanto plateale e mostrare una così meschina ingratitudine verso di lei?
Una o due delle più sensibili, delle più inermi, vanno avanti a forza di pillole tranquillanti: le prendono al mattino come fossero confetti, per trovare la forza di affrontare un’altra giornata di lavoro sotto le grinfie di un simile superiore. Il loro livello di stress è diventato così alto, che il loro equilibrio interiore è andato irrimediabilmente in crisi, fuori centro; e perfino le loro relazioni familiari ne risentono pesantemente.
La signora in questione è sposata e ha due figlie, ma non dedica molti pensieri alla propria famiglia: il marito non è che un’ombra inconsistente, un cagnolino scodinzolante; le due ragazze non vedono l’ora di diventare maggiorenni e andarsene di casa. Dialogo con la loro madre non ne hanno mai avuto; il suo egocentrismo arriva al punto da farla ingelosire se vede dei ragazzi per casa: che cosa significa, si chiede istintivamente, forse che io sono meno bella e interessante di queste due insignificanti sciacquette?
Oppure prendiamo il pittore ***, una ex giovane promessa dell’Arte nostrana, un artista - dicono - geniale e imprevedibile, con un grande futuro, ahimè, ormai dietro le spalle. 
Qualunque cosa faccia o dica, lui è sempre al centro; impossibile parlargli di qualcosa che non sia lui stesso o la sua arte ed, eventualmente, i suoi maligni detrattori, che hanno sabotato la sua carriera. Non c’è un solo gesto, una sola parola che egli non riferisca al proprio io, dal tempo atmosferico all’ultimo fatto di cronaca rosa: il mondo esiste per riflettere perennemente ed immancabilmente la sua immagine, come uno specchio.
Era sposato, ora è divorziato: la moglie, a un certo punto, non è riuscita a sopportare oltre le quotidiane maleducazioni, i rimproveri ingiustificati per le cose più piccole e, più amaro di tutto, il quotidiano disinteresse, anzi, l’autentico disprezzo che traspariva da ogni suo gesto e da ogni suo sguardo. Il figlio adolescente è rimasto con la mamma e il padre lo vede assai raramente, non lo cerca affatto e comunque, ogni volta che ne ha l’occasione, non si trattiene dal lanciarsi con lui in lunghe e velenose filippiche contro la grande Nemica assente, colei che - a suo dire - è forse la principale responsabile di tutti i suoi insuccessi e di tutte le sue delusioni.
Come si vede, il fattore “successo” è un elemento secondario per le persone egoiche: può esserci o non esserci; se c’è, è la conferma della loro eccellenza; se non c’è, vuol dire che è stato negato loro subdolamente e perfidamente, per privarle della loro giusta porzione di onori, di riconoscimenti e, naturalmente, di guadagni. 
Alcune caratteristiche inconfondibili, tuttavia, accomunano le persone egoiche, siano esse di successo oppure no: l’estrema sgradevolezza nei confronti degli altri; l’assoluta incapacità di assumere un punto di vista che diverga dal proprio; la radicale indifferenza nei confronti di tutto ciò che il prossimo sente, pensa e desidera.
È come se fossero corazzate e chiuse dentro se stesse, in una fortezza inespugnabile, anzi, in un bunker sotterraneo, dall’interno del quale è impossibile capire se fuori sia autunno o primavera, se splenda il sole o se piova da chissà quanti giorni; in esso regna sempre la stessa atmosfera, soffocante e vagamente allucinata, che gli altri percepiscono immediatamente come malsana, pur se nessuno è mai riuscito a spingersi oltre la soglia.
Si tratta di una atmosfera artificiale, con qualcosa di putrescente e di lugubre, che fa venire subito alla mente, per associazione di idee, le «Serre calde» di Maurice Maeterlinck.
L’individuo egoico è murato vivo dentro se stesso: non vede più le cose che stanno all’esterno, perché tutte, dalle più grandi alle più piccole, dalle più vicine alle più lontane, gli rimandano continuamente la propria immagine, ovviamente deformata secondo la sue fantasie (per non dire le sue allucinazioni) di tipo narcisista.
Egli non si rende conto di vivere in una dimensione profondamente falsa dell’esistenza, è anzi convinto di essere più realista e concreto di chiunque altro; gli fa eternamente schermo, alla sua esatta percezione della realtà, la sua ossessione di aggrapparsi alle cose, di volerle controllare e manipolare, di piegarle alle sue aspettative e di sottometterle ai suoi desideri.
Ma che cos’è, esattamente, l’Ego?
Incominciamo col dire che non è l’Io, come si sarebbe portati a pensare in base a una semplice trasposizione lessicale dalla lingua latina a quella italiana.
L’Io, lo sappiamo, è la struttura psichica deputata a gestire i rapporti con la realtà, sia esterna che interna; e, a differenza del Sé, che rappresenta la totalità della persona rispetto all’ambiente, l’Io è la struttura che ha coscienza della propria distinzione dagli altri “io” e che, pertanto, presiede ai processi psicologici (ma non a quelli spirituali, ché quella è tutta un’altra faccenda) della consapevolezza.
L’Ego non è l’Io, ma soltanto la sua parte primitiva ed embrionale, quale si riscontra nel bambino piccolo, il quale, appunto, tende a riferire ogni cosa a se stesso e percepisce il mondo intero in funzione dei propri bisogni immediati: lui ha fame, piange, e la mamma corre per allattarlo; lui ha sonno, piange, e mani sollecite lo mettono a dormire nella culla.
Mano a mano che l’individuo diventa adulto, teoricamente dovrebbe ridurre il proprio Ego ed emanciparsi dal suo tirannico dominio; ma questo, appunto, solo teoricamente, perché, di fatto, si vede che un gran numero di persone non si libera mai dall’ipertrofia del proprio Ego, anzi, se possibile la aumenta ulteriormente, gonfiandola oltre ogni misura e poi rinchiudendosi e corazzandosi in esso, fino al punto da disumanizzarsi completamente.
La persona egoica, infatti, è disumana: perché è umano aprirsi agli altri, stupirsi davanti allo spettacolo del mondo; mentre è profondamente disumano chiudersi in maniera sistematica e non vedere né ascoltare altri che se stessi, mostrando noia, insofferenza e fastidio per tutto il resto, come fanno - appunto - i bambini viziati.
Da che cosa nasce questa mancata emancipazione dall’Ego, questa sua mostruosa ipertrofia nell’età adulta?
Abbiamo detto, poc’anzi, che l’Io presiede ai processi psicologici della consapevolezza (ma non a quelli spirituali); e l’emancipazione dall’Ego è, appunto, parte di un generale processo di consapevolezza che porta il bambino a diventare adulto, non solo in senso anagrafico, ma nel senso più ampio e comprensivo del termine.
E dunque: quando la consapevolezza si fa strada nella coscienza solo e unicamente per via psicologica, senza coinvolgere affatto la più ampia sfera dell’anima, quella spirituale; quando si riduce a un fattore meramente quantitativo o ad una sorta di tecnica della maturità coscienziale, senza investire gli strati più profondi del nostro essere: allora è possibile, se non addirittura probabile, che l’Ego sopravviva e che si abbarbichi all’Io, come un’edera maligna si abbarbica al tronco di una betulla, la ricopre, la soffoca nel suo abbraccio brutale.
La progressiva riduzione del proprio Ego, pertanto, dovrebbe essere assunta come un compito d’importanza decisiva da tutti coloro i quali desiderano evolvere spiritualmente, lasciandosi alle spalle atteggiamenti e modi di essere tipicamente infantili ed aprendosi alla bellezza e all’incanto del mondo, per goderne in pienezza e in serenità.
Essa, inoltre, è essenziale al raggiungimento di un sano equilibrio interiore, alla elaborazione di una struttura della propria coscienza che consenta di armonizzare le suggestioni della realtà esterna con le esigenze più autentiche e profonde della propria anima: che non  sono solo quelle della psiche, sia essa conscia o inconscia, ma di ciò che potremmo chiamare il Superconscio, la parte luminosa che può metterci in relazione con i livelli più sottili della realtà.
Solo quando cade la corazza dell’Ego, infatti; solo quando si esce dal bunker dell’Ego e si torna a respirare a pieni polmoni l’aria aperta: solo allora si rivela la parte più profonda, più bella e più autentica della nostra anima, come uno splendido fiore che apre i suoi petali solo quando la pioggia benefica scende a ristorarne la radice e la linfa.
L’individuo egoico si aggrappa in maniera compulsiva: si aggrappa alle cose, a tutte le cose, nelle due forme, solo apparentemente opposte, della brama e della paura (anche la paura è una maniera di aggrapparsi, di non lasciarle andare).
Si intuisce facilmente, pertanto, che egli è essenzialmente un individuo insicuro, spaventato, con poca stima di sé (anche se, in apparenza, può ostentarne fin troppa, come ben sanno i suoi malcapitati vicini): è la paura che lo spinge ad aggrapparsi, come fa il naufrago con il primo relitto galleggiante; perché, se non lo facesse, si sentirebbe perso.
È per questo che si aggrappa al potere, al successo, alla visibilità; oppure, semplicemente, alle proprie abitudini, alle proprie illusorie sicurezze; si aggrapperebbe anche al Diavolo, se non avesse altro per le mani (e infatti può aggrapparsi anche alla propria amarezza e alla propria disperazione): qualunque cosa, piuttosto che lasciarsi andare.
Ha troppa paura, per lasciarsi andare: una paura così grande, da non riuscire nemmeno a prendere in considerazione l’idea di potersene liberare.
È uno schiavo, schiavo di se stesso; e, in qualche angolo della propria anima, lo sa bene: proprio per questo sfoga volentieri la sua angoscia contro tutti quelli che si offrono ai suoi colpi, a cominciare dai familiari e dagli amici.
Ma è anche un bambino, un piccolo bambino tremante e spaventato a morte, che avrebbe un estremo bisogno di essere rassicurato, con le carezze e le parole dolci.
Ma è possibile aiutare questo bambino spaventato, dopotutto, se lui per primo non è disposto a lasciarsi aiutare?
È la domanda, desolante e priva di risposta, che si fanno continuamente milioni di mariti e di mogli, di genitori e di figli, di amici e di amanti, allorché sono alle prese, magari in una pesantissima convivenza quotidiana, con il piccolo bambino spaventato che è in fondo all’altro, irragionevole e tirannico come sanno esserlo solo i bambini capricciosi.
Non vi è redenzione possibile, allora, dalla prigione infernale dell’Ego, dalle serre calde di un Ego ipertrofico che non vuol saperne di ritrarsi, di abdicare, di cedere il passo alle istanze più mature della personalità?
Nessuno può dirlo, così, in generale; ciascun essere umano riceve una chiamata e, insieme ad essa, gli strumenti per rispondervi affermativamente, in maniera da poter realizzare la propria armoniosa evoluzione spirituale.
Sta a lui imparare a servirsene, a utilizzarli per il proprio stesso bene.
La vita non è una scampagnata in un giardino di delizie, ma un compito preciso che ci viene dato.


Articolo di Francesco Lamendola * Link

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